“Solo i Pellerossa ed i contadini Toscani sentono lo spirito della natura, ed agiscono in armonia con esso”
(C.G. Leland)
Nel cuore dell’Appennino Tosco-Emiliano, esiste una vallata denominata Casentino. La sua posizione isolata, col fianco orientale composto dall’Appennino e quello occidentale dalla catena che lo isola dal Valdarno, e le sue scarse e tortuose vie di accesso e fuga, nel corso di secoli ha goduto di uno splendido isolamento. Una terra non pacifica, in quanto è stata una ambita zona di passo tra aree geograficamente importanti (si trova in un crocevia che congiunge le direttrici tra Roma, Firenze, Siena, Arezzo, Perugia, Urbino e la Romagna), ma gelosa custode delle proprie tradizioni, della nativa ancestrale cultura che affonda le proprie radici nell’Etruria prima, confluisce successivamente nella cultura Romana, e poi gioca a nascondino col Cristianesimo, assorbendone marginalmente le divinità ed i caratteri principali. Scaltramente, per quieto vivere. In queste zone, fino alla generazione precedente alla nostra, venivano utilizzati quasi quotidianamente dei rituali e delle invocazioni a forze superiori per ottenere dei benefici, delle divinazioni, delle protezioni. Ed i meno giovani lo ricordano bene. Il contadino consultava la posizione della Luna per le semine, per i raccolti. Creava delle filastrocche per tramandare oralmente una antica conoscenza, venivano consultate delle persone in grado di segnare (curare) persone ed animali in casi di sospette influenze di energie negative. Si segnavano gli orzaioli, i vermi, ed altri piccoli malanni dicendo delle sequenze di parole che erano conosciute solo a pochi prescelti. Queste persone vivevano la propria vita a stretto contatto con le forze della natura, e da esse traevano benefici. I loro antenati erano gli eredi di una remota religione naturalistica e pagana, prima che il Cristianesimo prendesse possesso delle conoscenze ancor prima che delle anime.
Lo storico e folklorista Americano Charles Godfrey Leland, ha trascorso decenni nello studio della cosiddetta Magia Etrusco-Romana, e nel suo libro “Etruscan Roman Remains” descrive come evidentissime tracce di questo antico culto rimangano tuttora vive in alcune zone dell’Appennino Tosco-Emiliano. In particolare, analizza il concetto di “Stregoneria” e spiega la differenza abissale tra il concetto che si ha della Strega nei paesi nordici ed anglosassoni, e quello distorto che si ha in Italia. Col termine “Strega” universalmente si indica la donna che conosce le leggi della natura e sa utilizzarle per ottenere benefici, è capace di utilizzare le piante per portare conforto, curare le malattie. La figura della Strega, intesa come guaritrice, è una figura familiare, positiva. In Italia, sotto la scure del Cristianesimo e dell’inquisizione, ogni rituale ed ogni conoscenza che non fossero direttamente ricondotti alla dottrina ufficiale vennero estirpati con la forza. Le donne che guarivano, o che semplicemente vendevano erbe per sopravvivere, divennero Streghe, ovvero concubine del demonio. Il resto, è triste storia. Nelle zone in cui si conservava l’antico culto, si continuò a praticarlo in segreto. Ufficialmente i nostri antenati divennero Cristiani, ma nel chiuso delle loro case e delle loro menti, continuarono a svolgere i propri riti. Col trascorrere dei secoli, ben poco è cambiato. Ancora oggi, esistono delle persone che praticano gli antichi rituali, alla luce del giorno. Purtroppo il loro numero sta diminuendo drasticamente, nella nostra società veloce ed tecnologica, rimane poco spazio per la conoscenza e la tradizione.
Abbiamo incontrato una persona che da sempre ha utilizzato le proprie capacità ed alcuni rituali per aiutare le persone. Quella che tecnicamente dovrebbe essere definita una Strega, anche se il termine oggi fa un po’ sorridere. L. , useremo solo la iniziale del suo nome, abita in Casentino da sempre. E’ nata in una collina lambita da due torrenti, e sovrastante una larga vallata. In questa zona, ricca di acque (a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, si trovano numerosi laghi e torrenti), e nella sua famiglia da sempre c’è stata almeno una persona con il dono, ovvero la capacità e la conoscenza degli antichi rituali. Circostanza che si riscontrava anche nelle altre famiglie che abitavano nella stessa vallata. Potremmo pensare che il potere energetico dell’acqua abbia nei secoli irradiato delle energie positive, e che le persone più sensibili ne siano state permeate.
L. è una donna energica, con un forte carattere. Ha appena superato i 70 anni, anche se ne dimostra molti meno, è sposata da quasi cinquanta. Vive con il marito che conosce bene ed apprezza questo suo dono, in quanto anche nella sua famiglia si trovavano delle persone con determinate capacità. Ha accettato di buon grado di parlarci della sua esperienza, anche perché ritiene di essere una delle poche testimoni rimaste di certe conoscenze che rischiano di essere perdute.
D. “Da quanto tempo possiede questo dono? Da quanto esercita questi rituali?”
L. “Sono oramai più di quarant’anni. Ricordo che osservavo mia suocera quando esercitava e ne ero incuriosita. Un giorno mi disse: ‘prova!’. E così feci, ed il rituale riuscì perfettamente. Era la prova che ero predisposta”
D. “Nella sua famiglia, c’erano delle persone con questo dono?”
L. “Si, mi raccontava mia mamma che la nonna aveva un dono: riusciva a curare con le mani. Non ricordo di averla vista all’opera, ero piccola”
D. “In che modo le è stato trasmesso questo dono?”
L. “Nel mio caso nella maniera più semplice, mi suocera mi ha insegnato i gesti, le sequenze da eseguire e le parole. Ho provato ed ho ottenuto subito i risultati. So che secondo la tradizione, questi doni si passano la notte di Natale, ma noi abbiamo fatto in maniera più semplice, ed ha funzionato. Forse perché ero già predisposta”
D. “Ci parli della sua capacità. Che tipo di rito è in grado di svolgere, e a cosa serve?”
L. “Io riesco a piombare i bachi, come si dice dalle nostre parti. Ovvero a togliere i vermi. Quando si hanno degli stati di malessere non ben definito, o leggeri problemi respiratori. Nei bambini e negli animali quando si dice che hanno i vermi. Con questo mio rituale, riesco a guarirli a distanza”
D. “Può descriverci in cosa consiste questo rito, oppure è un segreto?”
L. “Ci mancherebbe, si può raccontare tranquillamente. Il rito consiste nel far riscaldare una piccola paletta di ferro nel fuoco, e quando questa è rovente, si toglie dal fuoco, si getta una manciata di zolfo purissimo nella paletta e la si riporta sul fuoco per far sciogliere completamente lo zolfo. Precedentemente, si prepara una bacinella piena di semplice acqua. Si porta la paletta sopra alla bacinella, si fa scendere piano piano lo zolfo liquido nell’acqua con movimento circolare, mentre si dicono le parole. Se ci sono i bachi, si formano dei filamenti che pian piano si aggrovigliano. Se non ci sono, lo zolfo al contatto con l’acqua forma delle semplici palline e si deposita sul fondo. [Scientificamente questo è corretto: lo zolfo fuso, a contatto con l’acqua, solidifica in piccole gocce sferiche, oppure in brevi filamenti. E’ un mistero questa sua capacità di costituirsi in lunghi filamenti aggrovigliati. N.d.A.] Quella matassa, una volta estratta dall’acqua della bacinella, dovrà essere gettata in acqua corrente: in un fiume, in un fosso, o anche in una fognatura. Tre cose sono importantissime: tutto il necessario, la bacinella, la paletta, lo zolfo, deve essere toccato solo dalla persona che eseguirà il rito. E nessuno deve guardare il versamento dello zolfo nell’acqua, altrimenti i bachi verranno piombati a colui che osserva! Ultima cosa, la più importante: non si deve ricevere nessun tipo di pagamento o dono per queste pratiche. Mai. In passato chi veniva a casa e mi chiedeva di piombare i bachi, portava del caffè o dei biscotti, o una bottiglia di vino e venivano consumati assieme come in una visita tra amici, ma non si deve mai prendere niente. E’ un servizio che si fa col cuore e per il bene, siamo stati già fortunati a ricevere questa capacità”
D. “Secondo le leggende, questi oggetti in realtà vanno bruciati, per purificarli”
L. “No! Ogni cosa di questo tipo, anche quegli oggetti che venivano ritrovati all’interno dei cuscini, devono essere gettati in acqua corrente. Perché se si brucia, svanisce l’effetto e basta, se si butta in acqua corrente, chi ha provocato il malanno soffre!”
D. “Cosa pensa che sia questo suo dono? Una capacità naturale, un dono da parte di una divinità?”
L. “Ritengo che sia un dono del tutto naturale, e che debba essere messa a disposizione del prossimo. Non si invocano divinità o altro. Semplicemente bisogna conoscere il nome della persona su cui si interviene. Solo il nome, non importa averla davanti o conoscerla. Si può agire anche su sconosciuti”
D. “Conosce altre persone che oggi esercitano come lei?”
L. “Conosco un signore che è molto addentro a queste pratiche, un punto di riferimento per tutto il paese e non solo. Ma lui va oltre, ha dei chiamiamoli poteri molto più avanzati dei miei, e ci si rivolge a lui per cose ben più gravi. Persone come me no, non mi viene in mente nessuno. I tempi sono cambiati purtroppo”
D. “Se dovesse incontrare per strada una persona col suo stesso dono, sarebbe in grado di riconoscerla?”
L. “No, sinceramente no. Non ho nessun elemento che mi faccia capire o sentire che un’altra persona abbia o meno uno di questi poteri”
D. “Domanda fondamentale: lei crede in un Dio?”
L. “Si, credo in Dio. Non sono molto praticante, ma credo in Dio. Questo non c’entra nulla però con il dono che io possiedo. Durante il rito non invoco nessuna divinità, per capirci. Mi fanno ridere tutti quelli che sono contrari a questi antichi rimedi, però quando hanno bisogno sono i primi ad alzare il telefono e a cercarmi!”
D. “Domanda spiacevole ma devo farla: sarebbe in grado, anche involontariamente, di fare del male con i suoi poteri?”
L. “No, per carità! Assolutamente no! Non sarei assolutamente predisposta né come carattere né come conoscenze. No, assolutamente no. Anzi, so che qualcuno in passato si faceva addirittura pagare per fare del male. Una cosa riprovevole per loro e per chi lo richiedeva!”
D. “In che tempi agisce il suo rito? Diciamo dal momento in cui si conclude, al momento in cui la persona percepisce il beneficio?”
L. “In alcuni casi, il primo effetto è un malessere o un peggioramento della situazione, perché si sta cominciando a smuovere tutto. Dopo, pian piano, si ha la guarigione. Direi normalmente nell’arco di una oretta al massimo, passa tutto”
D. “Alla fine del rito, sente della stanchezza fisica? Ha degli effetti sul suo stato fisico?”
L. “No, direi nessuno. Non c’è quella concentrazione continua che si ha svolgendo altri riti, tipo quello per misurare lo sforzo. No, nessun tipo di stanchezza o debolezza. Addirittura, con l’esperienza ed in alcuni casi urgenti, si può fare anche mentalmente…”
D. “Mentalmente? Quindi senza far uso dello zolfo?”
L. “Si, in alcuni casi meno gravi, e se ci viene chiesto quando si è lontani da casa, si può anticipare il rito visualizzandolo mentalmente, in ogni sua fase. E funziona. Se la guarigione non è completa, allora prima possibile si effettua anche il rito fisicamente”
D. “Oggi quante persone si rivolgono a lei? Sono sempre numerose?”
L. “Non sono più numerose come una volta, ma le persone che mi conoscono da lunga data all’occorrenza tornano. Prima si rivolgevano a me anche due o tre persone alla settimana, oggi forse dieci all’anno”
D. “Oltre a piombare i bachi, le hanno insegnato qualche altra pratica?”
L. “Mia mamma mi ha insegnato una ricetta che viene tramandata, per fare un unguento che cura le screpolature della pelle ed i geloni. E funziona, altro che medicine!”
D. “E’ una ricetta segreta o può svelarcela? Si prepara con un rito?”
L. “Posso accennarla tranquillamente. Servono: un pezzetto di candela benedetta, un tipo particolare di erba, foglie di olivo benedetto, olio e cera d’api. Non c’è alcun rito da fare, basta mettere tutto, nelle opportune dosi, in un pentolino e lasciare che si sciolga e che si amalgami il tutto. Le assicuro che funziona benissimo e in maniera rapidissima. Se si mette su una screpolatura o su un gelone la sera, e si fascia la parte con una benda, già la mattina non dico che sia guarito ma poco ci manca”
Guaritrice, Strega, Segnatrice. Nomi doversi per indicare delle donne giunte attraverso percorsi diversi, a plasmare le forze e gli elementi naturali, usando formule e riti esistenti prima della loro nascita, e fondamentalmente dedite al bene, contrariamente a quanto si creda. Il terreno su cui si muovono queste persone non è mai stato scientificamente studiato, e questo lascia perplessi. Si hanno dei fenomeni fisici ben definiti, si ha una alterazione dello stato fisico di un materiale. In alcuni casi, il guaritore emette del calore dalle mani: perché nessuno si è preso l’impegno di svolgere una ricerca per tentare di dare una spiegazione scientifica a questi fenomeni? Forse, ed è una opinione personale, è più comodo lasciare questi fenomeni nel limbo delle Protoscienze, evitando conflitti con apparati ed ideologie più diffusi e che detengono i diritti d’autore sulle guarigioni miracolose, mantenendo così un anacronistico ed ingiusto status quo.
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La paletta di ferro messa a scaldare
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Lo zolfo: deve essere puro al 100%
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Liquefazione dello zolfo
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Lo zolfo cade in acqua: esito negativo
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Lo zolfo cade in acqua: esito positivo
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La differenza tra gli agglomerati di zolfo in caso di esito negativo (a sinistra) e positivo (a destra)